
Beni del patrimonio indisponibile: sono usucapibili?
I beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti.
La questione era nata dalla domanda del proprietario di un immobile di esser dichiarato proprietario per usucapione di vari immobili (un altro locale, retrostante l’appartamento di proprietà, un garage ed una porzione del giardino) cointestati ai convenuti.
Sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello avevano però rigettato la domanda attorea e ciò perché il complesso immobiliare, nell’ambito del quale ricadevano i vari immobili, era stato edificato dall’IACP e la destinazione pubblica dello stesso era cessata solo con la dismissione della proprietà dell’intero complesso; per altro, trattandosi della pretesa usucapione di beni comuni, dei quali è permesso l’uso esclusivo, senza che ciò integri possesso “ad usucapionem”, era da reputare che gli attori avessero esercitato il possesso “uti condominus” e non “uti dominus”.
Dello stesso parere infine la Corte di Cassazione, che ha rigettato il gravame proposto dal proprietario.
Nella specie, la Corte ha ricordato che, ai sensi del combinato disposto di cui all‘art. 830 c.c. e art. 828 c.c., comma 2, i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti.
La indisponibilità del bene pubblico, nella specie complesso immobiliare destinato a edilizia popolare, cessa solo al venir meno della destinazione dell’intera costruzione, con l’alienazione di tutti i singoli alloggi.
Una tale situazione non è sovrapponibile a quella in cui l’ente pubblico non abbia dismesso tutti gli alloggi, come nel caso di specie, non assumendo rilievo il dato quantitativo di essa dismissione.
Sotto altro profilo l’inizio del procedimento amministrativo di alienazione, secondo le prescrizioni di legge, non può equipararsi alla sdemanializzazione, la quale sopravviene solo quando è del tutto cessato l’interesse pubblico alla destinazione del bene, con la vendita dell’ultima unità abitativa.
Invero, applicandosi i principi generali, in presenza di un immobile ancora destinato allo scopo pubblico, sia pure limitatamente anche a una sola delle unità abitative assegnata in uso, non può ravvisarsi la sussistenza di atti o fatti univoci e incompatibili con la volontà continuare perseguire lo scopo di legge; cosicché deve escludersi la sussistenza di una sdemanializzazione tacita ex art. 829 c.c.
Cass. Civ., Sez. II, 16 dicembre 2022, n. 36907
Redazione Consortium Forense 1960